“…Soltanto il mare che non conoscevamo poteva proteggerci, i barbari di settentrione lo temevano (…) Gli uomini del mare ci catturarono (…) dopo tre giorni e tre notti di mare tumultuoso (…) S’u la giovane (…) recise la corda e ci affacciammo alla luce (…). Cercammo di imparare a governare la nave (…) il mare saltò sul ponte, afferrò S’u e la portò via. S’u in silenzio sparì tra le onde…”
Passavamo sulla terra leggeri, Sergio Atzeni
Ho sempre pensato che l’uomo non può stare fermo: non è nella sua natura. La sua voglia di avventura alimentata dalla curiosità del conoscere, dalla speranza in un mondo migliore, dalla fuga, ha determinato i tratti somatici dell’uomo contemporaneo. S’Û è una musica ibrida che riflette sulla società occidentale, autoreferenziale, arroccata e anacronistica, che innalza Muri d’acqua tra le due sponde del mediterraneo. Tutto si snoda in Due tempi, come in un vinile a 33 giri. Dentro c’è la frenesia e la speranza della nave Vlora, il filo spinato e le cicale che osservano i salti e gli approdi a Melilla. Nel ricordo dei Pastelli a cera convivono, in un’ideale Tinta unita, Blu di Prussia, il rock della mia adolescenza in via Baragge, il Mi e La dei pescatori di Bosa, la nebbia di Bologna e le sue Radio libere, le influenze andaluse trasportate dalla risacca ai piedi della miniera di Porto Flavia (dedicata a Paco de Lucia). S’Û è qualcosa che sta al disopra che ha a che fare con le stratificazioni delle vernici consumate dal passo del tempo di una vecchia barca, con la Mancina di carico e scarico di mille porti da cui ha inizio ogni avventura legata al mare.
E se avessimo le Ali?